Citàt di San Vît dal Tiliment
Nel centro storico si apre la cinquecentesca Piazza del Popolo, sviluppo di un’area circostante al nucleo originario che fu il castello di San Vito, con le sue prime mura e il primo borgo.
Sulla piazza si affacciano l’antica Loggia Pubblica, prima sede della municipalità sanvitese e sede dal ‘700 di uno splendido teatrino all’italiana che ora rivive intitolato al compositore sanvitese Gian Giacomo Arrigoni (1597-1675); il Duomo, costruito nel 1745 su un preesistente edificio del Quattrocento e contenente una vera e propria galleria d’arte di opere di diversa epoca ed il Palazzo Altan Rota (XV secolo, oggi sede del Municipio), il più veneziano dei palazzi di piazza, con bellissimo giardino all’italiana antistante e maestoso parco sul retro.
In borgo Castello si può respirare ancora il passato medioevale. Il castello di San Vito risale per certo al XII secolo e fu restaurato nel secolo successivo con l’aggiunta di due torri: Torre Raimonda e Torre di San Nicolò (Scaramuccia). Accanto a quest’ultima rimangono le vestigia delle mura difensive che un tempo circondavano tutto il borgo nonché parte dell’Ospedale dei Battuti, fondato dalla confraternita laica dei Battuti nel XIV secolo. Degne di nota sono anche la Chiesa di santa Maria dei Battuti annessa all’antico ospitale, con ciclo di affreschi amalteiani commissionati dal patriarca di allora Marino Grimani, e la Chiesa dell’Annunziata o Chiesa di Santa Maria del Castello con affreschi trecenteschi di scuola friulana.
Appena fuori dalla seconda cinta di mura, entro il giro di fosse odierne, fa bella mostra di sé l’ex Convento dei Domenicani ora sede della Biblioteca Civica, dell’Ufficio Beni ed Attività Culturali e dell’Ostello della Gioventù. Annessa, la Chiesa seicentesca di San Lorenzo che conserva lacerti di affreschi quattrocenteschi e cinquecenteschi e le spoglie del frescante Pomponio Amalteo (Motta di Livenza, 1505 – San Vito al Tagliamento, 1588) e della sua famiglia, insieme a quelle di altre famiglie nobili del luogo.
L’antica loggia comunale e l’antico teatro sociale “Gian Giacomo Arrigoni”
Sede dell’antico consiglio comunale, del tribunale e della cancelleria, assieme al campanile è la testimonianza architettonica più antica della piazza. Sorgeva accanto alla distrutta torre delle ore che fungeva da raccordo al castello, subiva nei secoli una serie di interventi fino ad assumere già nel XV – XVI secolo la forma attuale.
Un grande vano aperto sulla piazza circondato da panche di pietra ove si svolgevano il mercato delle granaglie, la vendita del bestiame e della frutta e verdura, insieme alla vendita all’asta dei beni al banco degli ebrei (una piccola comunità ebraica viveva in località Codemala, attuale via Paolo Sarpi). Al piano superiore gli ambienti ove, al suon di campana, si riunivano il Podestà ed i rappresentanti della cittadina.
Dal ‘600 è documentato l’uso di sede per rappresentazioni teatrali e musicali. La struttura è quella di piccolo teatro all’italiana tra ‘700 e ‘800. Il recupero recentemente concluso ha restituito un magnifico monumento ridando vita al teatro ricostruito ex novo con fedeltà dei minimi particolari e intitolato al compositore sanvitese Giangiacomo Arrigoni (1597-1675); rivive così l’antico teatro sociale che tra ‘800 e ‘900 fu un vanto per San Vito.
Il Santuario di Madonna di Rosa
Il Santuario custodisce un’immagine sacra della Vergine che la tradizione vuole essere apparsa ad una giovane del luogo, dando origine a una devozione ancora viva. L’edificio nelle forme attuali è stato eseguito dopo la distruzione della chiesa originaria avvenuta durante un bombardamento della seconda guerra mondiale; in quel frangente, in quel frangente l’immagine sacra rimase eccezionalmente intatta tra le macerie. Interessante il campanile a forma circolare degli inizi del XX secolo. Ricchi mosaici e sculture moderne adornano questo luogo di culto mariano. Il santuario oggi è meta di pellegrinaggi dall’Italia e dall’estero.
Il castello
Le origini del centro storico di San Vito sono legate ad un edificio fortificato, nato proprio come semplice rocca difensiva con le sue cinta murarie, documentata già prima del XIII secolo.
Il castello di san Vido fu donato al potente Patriarcato di Aquileia che ne fece propria dimora e divenne successivamente anche residenza della nobile famiglia Altan.
Quello che rimane oggi del castello è una struttura che riecheggia più la residenza nobiliare che l’edificio difensivo medievale. Un edificio di certo imponente, risultato della sommatoria di più fabbricati aggregati, con il primo giro di cinta muraria della cittadina, la fossa ed il basamento delle mura in parte riemerso e ricostruito.
Affascinanti gli affreschi rinvenuti, sia lacerti esterni che resti nelle facciate interne, di epoca e fattura diverse; decorazioni quattrocentesche e settecentesche, raffigurazioni di stemmi nobiliari sanvitesi e friulani e due dolci volti di guerrieri risalenti al primo ventennio del ‘500. Parte di questi, intere splendide scene e figure di sibille, sono stati salvati e strappati negli anni ’50 dallo studioso Federico De Rocco a cui è dedicato l’attuale museo Civico Archeologico, dove rimangono in attesa di rientrare nella loro sede di origine.
L’ex essiccatoio bozzoli: tra archeologia industriale e industria tessile
Manufatto di archeologia industriale, l’ex essiccatoio bozzoli si presenta quale un patrimonio edilizio non solo di valore architettonico, ma importante anche per la sua identificazione nel territorio .
Le prime strutture “industriali”, presenti nel territorio regionale, furono quelle che utilizzavano l’acqua come fonte energetica ed erano localizzate lungo le rogge esistenti: mulini e battiferro durante il dominio veneziano; opifici tessili e centrali idroelettriche tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento.
La Serenissima di Venezia dal XV investi molto sulla diffusione della bachicoltura e di conseguenza sulla gelsicoltura nelle terre ad essa soggette. Già nel 1515 Agostino Filatogli richiedeva alla Comunità udinese il permesso di poter costruire “un edificio da seta”. Nei pressi di San Vito, la “Ca Bianca” sorta per iniziativa dell’imprenditore tessile Jacopo Linussio, fu una villa opificio dove si lavorò lino e canapa fino al 1814, anno in cui cessò l’attività.
Nel secolo XIX, nell’ambito dell’industria tessile locale, il settore più sviluppato fu proprio quello della seta, anche in considerazione del fatto che la bachicoltura si è rivelata per un lungo periodo un’importante integrazione del reddito familiare ( filatoi De Bon, Himann, Piva).
Imprenditore capace fu certamente, nella realtà sanvitese, Paolo Giunio Zuccheri, che nella seconda metà dell’ottocento avviò l’attività serica anche a San Vito. Attiva dal 1877 la filanda era dotata di 32 bacinelle, di una caldaia costruita a Lubiana e motore a turbina. Ottenuta l’erogazione dell’acqua dalla fossa che circonda il centro storico, per animare una ruota da applicare ad un opificio di torcitoio, successivamente Zuccheri realizzò un ampliamento all’impianto produttivo destinato a filatoio per la seta, il tutto mosso da turbine ad acqua. Lo stabilimento impiegava da 60 a 70 lavoratrici e produceva circa quaranta chilogrammi di trame settimanalmente.
Il recupero conclusosi recentemente restituisce vita ad una presenza dimenticata, flessibile ora ad accogliere un riuso degli spazi esistenti, oltre a mantenere viva la memoria di una parte importante della storia locale.
Attualmente al piano terra e primo piano si trovano ambienti utilizzati dal Centro di Aggregazione Giovanile, dall’Ufficio Informagiovani e dalla Pro Loco.
Dal vano scale principale, si accede al secondo piano dove si aprono due ampi saloni adibiti generalmente a ospitare esposizioni artistiche ed eventi culturali.
Ecco una prima carrellata di immagini della giornata