da “La Voce del Popolo” di Fiume
FIUME – Ottimo successo di pubblico giovedì sera alla CI per Tihamér Hlavacsek il giovane pianista ungherese vincitore della quarta edizione del Premio Pianistico Internazionale “Stefano Marizza 2000”, concorso istituito dall’UPT in collaborazione con il Conservatorio di Musica di Trieste “Giuseppe Tartini” e la famiglia Marizza.
La commissione giudicatrice del concorso composta dal compositore Raffaello de Banfield, dai pianisti Massimo Gon, György Nádor, Jürg von Vintschger e Hinko Hass lo ha premiato “per l’impressione artistica suscitata nella Giuria, che l’ha votato all’unanimità, e per la forte personalità che ha caratterizzato le sue esecuzioni”.
Il ventitreenne pianista magiaro (di origine boema?) viene dall’alta e rigorosa scuola dell’Accademia di Musica “Ferenc Liszt” di Budapest ed è il prodotto di un ambiente culturalmente e musicalmente evoluto dove la musica mantiene ancora una sua aura di “sacralità”, per cui l’approccio del musicista è improntato ad un’umiltà (intesa come realistica valutazione del ruolo dell’esecutore), ad uno spirito “scientifico” e di servizio, oltre che passione, di particolare consistenza. Tihamér Hlavacsek si distingue parecchio dalla maggioranza dei suoi colleghi e per certi versi sembra appartenere ad un “altro pianeta”, ad una dimensione refrattaria all’isterismo di certi tempi eccessivamente veloci (sempre più di moda) che strozzano o sviliscono l’espressività e i contenuti, al tecnicismo “brillante” quanto noioso di non pochi musicisti, al qualunquismo e anonimità interpretativa, agli effetti facili, ecc. Tihamér Hlavacsek, giovane personalità musicale di non comune spessore, intelligenza, coscienza musicale e maturità psicologica, è preoccupato unicamente a cogliere ed esternare in modo quanto più “vero” e personale i significati intimi, le “idee generatrici” dei singoli brani. E lo fa con grande serenità e padronanza. E così abbiamo sentito un “Widmung” di Schumann (“Du meine Seele Du mein Herz, Du meine Wonne oh Du mein Schmerz …) nella rielaborazione pianistica di Liszt, fatto con lirica serenità e con un culmine appassionato nella seconda parte; un Liszt intimo, meditato, poeticamente riflessivo (Sonetto 104 del Petrarca, Ave Maria) nonchè ribollente e plasticamente suggestivo (2e ballade). Il pezzo forte della serata è stata indubbiamente la VI Sonata in La magg. di S. Prokofiev in cui sono emerse in particolar modo sia la raffinata e ferrea “dottrina”, la tecnica funambolica, che le pregnanti e vigorose qualità interpretative del pianista.
Hlavacsek intende e caratterizza fino in fondo la psicologia delle singole (e più disparate) situazioni musicali, quindi seguendo coerentemente il non facile discorso di Prokofiev, Hlavacsek lucidamente ne ricostruisce la narrazione – entro una precisa fisionomia formale – esaltando il plasticismo scultoreo ed affilato degli accordi, la rudezza ed il colore delle potenti sonorità, seguendo coerentemente le trasparenti astrazioni melodiche, dando senso all’eccitatissima e turbinante fuga delle scalette ecc.
Dopo insistenti applausi il pianista ha concesso due pezzi fuori programma (Hačaturjan e Chopin) fatti in modo sopraffino.
Patrizia Venucci Merdžo